A Pontecagnano un giovane rom ci lascia.

La tragica morte del giovane rom a Pontecagnano ci ha fatto molto riflettere.

Vivere in un limbo è il destino di almeno due generazioni di giovani rom, che hanno avuta la disgrazia di nascere sotto il segno di tre stigmi molto pesanti. Pregiudizi sempre più faticosi da reggere.

Rom, da sempre e tuttora la minoranza più discriminata d’Europa, che in molti casi condanna ad essere sottoposti quotidianamente a forme di razzismo, violenza e violazioni dei diritti umani. Prime tra tutti gli sgomberi coatti messi in atto dalle istituzioni.

Giovani, una categoria ignorata dall’inettitudine generale di schiere di classi dirigenti. Tanto più in un paese governato da vecchi burocrati miopi che non pensano a nient’altro che difendere potere e privilegi. Meridionali, è un dato di fatto che nascere e crescere nell’area metropolitana, ad esempio, di Napoli significa partire con uno svantaggio netto nella gara della vita.

 

Lo stato d’emergenza’ in cui viviamo non è l’eccezione, ma la regola.

“La tradizione degli oppressi ci insegna che ‘lo stato d’emergenza’ in cui viviamo non è l’eccezione, ma la regola”, scriveva Walter Benjamin. E questo incipit lo abbiamo usato in un rapporto di circa dieci anni fa che abbiamo scritto per ERRC – European Roma Right Centre – dal titolo significativo “Residence, Nowhere”, residenze inesistenti per vite invisibili, portando il caso di un giovane rom, oggi un uomo, di cui abbiamo seguito la parabola dall’infanzia, che ha dovuto aspettare letteralmente decenni per vedersi riconosciuti i diritti di cittadinanza. Nel frattempo, con fatica, sacrifici, errori, e un significativo sostegno delle reti non solo familiari, lui è riuscito a farsi una vita, ed è anche riuscito a uscire dal campo.

Non era un caso isolato, raccontare lui significava portare alla luce il dramma di migliaia di ragazzi come lui, che parlava napoletano, aveva talenti da tirare fuori e faceva innamorare ragazze di ogni età, classe sociale e provenienza. Ma restava un rom figlio di rifugiati per la legge e la comunità maggioritaria che lo considerava “marginale” e in cui inserirsi era veramente arduo. Non per tutte e tutti in questi anni è andata troppo bene. La maggior parte continua a vivere una vita che definire precaria non rende bene l’idea. Una vita che stride tragicamente con il desiderio profondo e semplice di vivere un’esistenza normale.

 

Lo stato d’emergenza del popolo rom

È un vero è proprio stato di emergenza quello in cui si trovano le generazioni rom di giovani di oggi e di domani, le bambine e i bambini. Una condizione che alcuni provano a denunciare da almeno venti anni, con scarsi risultati. Nel campo di Giugliano di Masseria del Pozzo, grazie al coinvolgimento di una massiccia rete di attivisti e a un lavoro di ricerca accurato e minuzioso che ne denunciava la gravità estrema delle condizioni, nel 2014 siamo riusciti a far arrivare la Commissione dei Diritti Umani del Senato Italiano. Hanno pianto, si sono forse mortificati e certamente stupiti di trovare uno scenario che evocava le guerre dei balcani a sole 3 ore da Roma. Poi se ne sono andati lasciando tutto com’era.

Sono passati da Scampia, Gianturco, Secondigliano, Poggioreale, Casoria e Giugliano, rappresentanti del Consiglio d’Europa, della Commissione Europea, di UNAR, di OSI, di ERRC, di OCSE, di Amnesty International.

 

I campi rom sono ancora lì

I rom hanno accolto raccontato, denunciato, gridato, fatto vedere, pregato. Ma i campi, informali e istituzionali sono ancora lì. Peggiorano e in qualche caso lentamente si svuotano, svuotando i territori come Scampia ma anche Giugliano, di presenze storiche, di portatori di saperi e patrimoni altri, di tracce culturali che svaniranno per sempre. Inoltre, non ci sono prospettive lavorative vere in territori dilaniati dalla disoccupazione, dalla criminalità e dal lavoro nero. Ottenere diritti di cittadinanza di base è un percorso a ostacoli. I pregiudizi sono aumentati se possibili e con essi gli atti di discriminazione e razzismo anche istituzionale. Ci si sbarazza di comunità scomode, attraverso veri e propri atti di guerra, a suon di decreti e ruspe. Tanto meglio se sono comunità povere e senza alcun potere di contrattazione.

Gli anziani piangono, si rammaricano. Chi ha la forza si dispera, ma per lo più prevale una rassegnazione che serve anche a risparmiare le forze in contesti di pura sopravvivenza. I giovani ci provano. A volte emigrano. Ma come possono veramente sopportare la consapevolezza di non avere vie di uscita senza portarne i segni sul lungo termine?

 

La morte del giovane rom a Pontecagnano

Quello che è accaduto a Pontecagnano, la morte di un giovane rom di 15 anni su cui si sta indagando ma che sembra essere un suicidio, ci lascia senza fiato, annichiliti. Ogni parola ci sembra inutile di fronte a questo fallimento collettivo. È ancora una volta responsabilità collettiva. Tutti coinvolti. Dalle istituzioni sclerotiche ad una società civile chiusa e impaurita, nella costruzione un paese, soprattutto al sud, privo di orizzonti, arido, desolato, dove non sembra possibile altro atto di ribellione che rivoltarsi contro la vita stessa.