Misure alternative. La mia banda è pop.

Da poco ha preso avvio nella nostra regione il progetto “La Mia Banda è Pop”, un progetto per misure alternative al carcere.

La mia banda è pop è stato selezionato nell’ambito del Fondo di contrasto alla povertà minorile Con i bambini. Un progetto che nasce per sostenere i giovani nella costruzione di percorsi partecipati di riscatto ed emancipazione.

La nostra associazione è capofila di questo progetto molto delicato e in questo momento storico anche necessario.

 

Responsabilità e cura per il contrasto alla devianza minorile

La “Mia Banda è Pop” si propone di contrastare il fenomeno della devianza minorile con la sperimentazione di un modello fondato sul concetto di giustizia riparativa e sul concetto di reciprocità in termini di “responsabilità e cura” tra singolo adolescente e giovane e comunità: questo modello innovativo vuole coinvolgere oltre 500 ragazzi con percorsi differenziati per chi è ha già varcato la soglia del circuito penale e un lavoro attento sulla prevenzione e sensibilizzazione. Nel corso di tre anni, circa 60 saranno i ragazzi e ragazze segnalati dagli Uffici di servizio sociale del Ministero di Giustizia minorile e dai servizi sociali territoriali presi in carico con percorsi di prossimità in grado di sostenerli in un processo di ri/costruzione positiva personale e collettiva, attraverso le cosiddette misure alternative.

 

Chi rom e…chi no racconta la mia banda è pop

Flavia Lizzadri, psicoterapeuta, e Biagio di Bennardo, assistente sociale e socio fondatore di Chi rom e…chi no, raccontano le prime fasi del progetto.

Un progetto della durata di 3 anni, che vede coinvolti ragazzi dai 16 ai 18 anni.

Flavia Lizzadri, in qualità di psicologa psicoterapeuta si occupa di seguire e ascoltare i giovani coinvolti nel percorso affiancando in equipe il lavoro di monitoraggio e supervisione.

Il progetto si compone di diverse azioni, in un’azione in particolare quella del “Cantiere delle buone prassi” Flavia si occupa di moderare il confronto in équipe e di dare valore attraverso la riflessione, alle esperienze che ragazzi ed operatori vivono nell’ambito del progetto.

Spesso le richieste di messa alla prova necessitano di sostegno psicologico prescritto. Anche in questo caso Flavia interviene sia per i ragazzi, sia per le famiglie.

Prima di tutto il lavoro si concentra sulla creazione di una relazione che comincia con una “fase di patto”. Questa fase prevede colloqui individuali ma anche esperienze informali che favoriscano la conoscenza reciproca, per esempio passeggiate in luoghi familiari e della quotidianità ma anche in luoghi sconosciuti, perché possano crearsi nuovi legami e conoscenze.

Biagio interviene nella creazione della relazione attraverso l’individuazione di passioni e talenti e attraverso esperienze “stimolanti”. Tra queste andare a teatro, al cinema, partecipare ad iniziative, passeggiare in città ma anche negli spazi riqualificati del quartiere.

Lo scopo è quello di creare uno “spaesamento” che consenta ai giovani di poter pensare ad un immaginario diverso rispetto a quello in cui credono di essere predestinati.

 

Un disagio ereditato

Spesso in équipe ci si trova a ragionare sul disagio ereditato. Molti giovani infatti si trovano a percorrere la povertà, l’emarginazione, le difficoltà culturali e sociali di cui erano già vittime i loro genitori.

Questo a dimostrazione del fatto che fin quando il welfare, il lavoro, la cultura e la vivibilità dei quartieri verranno considerati di importanza secondaria, purtroppo il disagio continuerà a reiterarsi di generazione in generazione.

 

L’approccio di Chi rom e…chi no

L’associazione ha scelto di non adottare un approccio “specialistico” che risulterebbe distante e poco attrattivo, nonostante le professionalità coinvolte.

Si punta a conoscere i ragazzi, a capire la loro storia, ad intercettare i loro talenti al fine di intraprendere un cammino insieme.

L’intervento, volta per volta viene, misurato in base a desideri, voglie, esperienze e capacità, prova a delineare al suo interno un percorso che possa tenere in se piani integrati di sviluppo: la socialità; l’istruzione; la formazione professionale; la ricostruzione del vissuto in chiave critica e consapevole.

 

Piccoli successi

Nella fase iniziale a due dei giovani coinvolti nel progetto è stato proposto come attività di ri/socializzazione e cura di seguire i bambini/e di loro più piccoli nelle attività del campo estivo. Dopo le prime resistenze, hanno liberato la loro dolcezza e premura e si sono mostrati molto collaborativi nelle attività di supporto alle educatrici, in un contesto sereno di “cura” e reciprocità che rispetta i tempi di ciascuno/a i ragazzi sono riusciti a dare valore al loro impegno in relazione agli altri.

Dopo il 4 incontro uno dei ragazzi ha anche portato il fratellino minore alle attività del campo estivo.

Anche i genitori hanno iniziato a fidarsi nel momento in cui hanno compreso l’approccio pedagogico di Chi rom e…chi no.

 

Una scelta alternativa alla comunità

Fare la messa alla prova è una scelta dei ragazzi, in alcuni casi, alternativa alla comunità.

Sebbene la messa alla prova sia un’opportunità migliore, è comunque una prescrizione.

La sfida per i ragazzi è costruire qualcosa in questo spazio intermedio tra quello che è prescritto e quello che possono fare per esprimersi e crescere, per noi superare la diffidenza creata dall’obbligo prescrittivo e stabilire una relazione significativa con loro, capace di esser occasione di cambiamento e crescita.

 

Una questione di identità

Nonostante le misure alternative siano una scelta possibile, abbiamo riscontrato la “scelta” per alcuni ragazzi per percorso in comunità. Questo accade come via di fuga quando i modelli identitari formati tra famiglia fragili e società competitive e aggressive, sono l’unico imprinting di riferimento. I ragazzi hanno tatuata addosso la mancanza, il vuoto, l’appartenenza ad un modello che non conosce alternative per non soccombere.  Un contesto che subiscono ma che allo stesso tempo li struttura.

Entrare in comunità consente di non mettere in discussione un paradigma che sebbene disfunzionale, è quello più solido.

E’ per questo che i ragazzi che hanno aderito con Chi rom e…chi no al percorso de La mia banda è pop, hanno accettato coraggiosamente di mettersi in gioco.

Continueremo a raccontarvi di questo intenso percorso.

 

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