“Abusivo non è chi restituisce all’uso dei cittadini una struttura abbandonata da anni e ritenuta pericolosa per l’incolumità degli stessi, ma piuttosto il potere che per anni espropria i cittadini, per incuria, delle strutture che potrebbero migliorarne la vita”
Felice Pignataro

Murales
Chi rom e…chi no ha radicato la sua azione attraverso un intervento culturale, pedagogico e sociale, lavorando intorno all’idea della città come luogo di condivisione e crescita collettiva, pensando alla periferia come spazio laboratoriale in cui realizzare azioni culturali, artistiche e sociali con i suoi abitanti: bambine e bambini, adolescenti, giovani, donne rom e italiani.
Chi rom e…chi no segue le tracce di uno dei centri sociali più antichi d’Italia, il Gridas GRUPPO RISVEGLIO DAL SONNO e del suo carnevale di quartiere giunto alla 40° edizione. Segue anche i murales di Felice Pignataro – che ha portato luce, colori, critica sociale sulle grigie mura delle periferie di tutta Italia e che tuttora richiama giovani da tutta l’Europa a Scampia per proseguire la sua opera indelebile, per gli edifici e per gli abitanti che vengono coinvolti, negli ampi meandri del quartiere.
Nel 2003, in piena faida di camorra, un lungo periodo buio caratterizzato da paura, isolamento, desolazione e disperazione, decidemmo di esplorare Scampia con un gruppo di giovani rom e non rom, per catturarne le bellezze nascoste e oscurate, con macchine fotografiche e videocamere, di raccontarne la storia ricercando le voci di testimoni privilegiati, di uscire finalmente per strada sfidando ostilità, pregiudizi, di iniziare insomma una nuova storia.
Scopriamo insieme che una parte importante del patrimonio culturale di Scampia sono i murales di Felice. Raccontarne la storia e ricalcare il suo modello realizzando murales collettivi e partecipati nei rioni, nei campi rom e nelle scuole, è stata ed è un pezzo fondamentale della nostra crescita, del consolidamento come gruppo e dei nostri percorsi pedagogici e sociali.
La nostra azione, che ha assunto caratteri e modalità diverse nel corso del tempo, parte dalla consapevolezza che i processi che riguardano persone e territori e che si pongono l’ambiziosa scommessa di agire nella direzione del cambiamento collettivo devono coinvolgere tutti quelli che vivono nei territori, a prescindere dalla diversa appartenenza sociale, etnica, culturale. Questa intuizione è stata sostenuta dal riscontro positivo delle pratiche messe in atto.
Dal nostro privilegiato osservatorio di Scampia, un territorio all’avanguardia da un punto di vista della disobbedienza civile e della spinta continua verso i cambiamenti positivi – grazie alla ‘rete’ di senso probabilmente tra le più solide d’Italia, a partire dal capostipite centro sociale Gridas – abbiamo capito che in contesti fragili ma fortemente resistenti una chiave per gestire e superare i conflitti, o per evitare che siano latenti, inespressi è la creazione di relazioni tra le persone a partire da esperienze concrete di condivisione.
I murales partecipati da intere comunità, bambini giovani adulti, che negli anni hanno preso corpo e forma in spazi pubblici significativi e fortemente simbolici – nelle Vele, nel Lotto P, nel campo di Cupa Perillo, nelle scuole, nella villa comunale, durante le colonie estive – sono azioni artistiche e politiche che raccontano molte storie, denunciano poeticamente condizioni di vita insostenibili e si battono per i diritti negati. La riappropriazione di spazi dimenticati, invisibili, degradati, i diritti di cittadinanza, il diritto all’abitare e il diritto a sognare, sono solo alcune delle questioni che proviamo a far emergere, grazie alla mano di amici muralisti e artisti che insieme a noi progettano nuovi mondi, ai colori e a parecchi metri di cemento armato.

Arrevuoto Teatro e Pedagogia

Da quando, nel lontano 2004, il Dio Ermes, alias Emanuele, tuonò minaccioso “facc’ arrevutà”, con questo battezzandoci tutti, nel bel mezzo di un laboratorio al Gridas di Scampia, seminando il panico tra i presenti, i ragazzi non hanno mai smesso di farlo, fino a oggi, come se la sua voce avesse oltrepassato lo spazio e il tempo e fosse arrivata alle orecchie di tutti. Il messaggio si tramanda di anno in anno, di laboratorio in laboratorio, di quartiere in quartiere, e così Arrevuoto rinasce sempre.
Come si fa a raccontare Arrevuoto? Diciassette anni, interrotti solo dalla pandemia globale da Covid-19, sono un pezzo di vita di una moltitudine di gente che è cresciuta e si è nutrita dei laboratori, degli incontri, della baraonda, dell’esplosione di voci e corpi che significa Arrevuoto. Diciassette anni sono anche un passaggio epocale nella storia di un piccolo quartiere chiamato Scampia della piccola città di Napoli.
In Arrevuoto è passata una generazione di giovani, che tra fratelli, sorelle, cugini, amici, conoscenti, fidanzati, compagni di strada, si sono scambiati le vibrazioni e il nome di un evento, che non si può spiegare, la vita che si intreccia con il teatro, il teatro affamato di vita. “Quando comincia arrevuoto?” è la domanda che centinaia di volte in ogni angolo di strada, rione e campo, correndo verso la macchina, del tutto a sproposito, in ogni stagione, ci siamo sentiti ripetere da nugoli di ragazze e ragazzi, anche da quelli che non lo hanno mai visto. Non avere sempre la risposta pronta, l’imprevedibilità dei tempi di inizio dei laboratori, in alcuni anni l’incertezza della ripresa, dovuta a varie congiunture difficili da chiarire (la “crisi”, i tagli, i finanziamenti, la programmazione del teatro, l’organizzazione, la logistica, le forme della burocrazia degli adulti insomma), corrispondono a smorfie di delusione totale. Non far rinascere Arrevuoto di anno in anno è paragonabile a un lutto.
Significa rinunciare a quello sciamare di giovani che si riversano per mesi negli spazi pubblici, nelle scuole, nelle palestre della città, per la creazione dell’opera collettiva. Significa per gli adulti non mettersi più in gioco, non rischiare nulla del proprio tempo, rinunciare a quella linfa vitale che sono le lotte che si ingaggiano con i giovani, un corpo a corpo continuo fatto di cura e strategie per convincerli che la loro è una presenza fondamentale, che ognuno di loro è un organo vitale della creatura che verrà fuori. E significa anche perdersi un grande spettacolo, quando finalmente si compone il quadro dei duecento ragazzi in scena e da dietro le quinte ci spintoniamo per vederli meglio e mantenere il respiro in sintonia con il loro.
Per questo, Arrevuoto non ha mai smesso di esistere.
Arrevuoto è fatto di fughe, rincorse, grandi amori, irreparabili tragedie, ritorni, inseguimenti, esasperazione, ragazzi che ormai lavorano e che fanno i salti mortali per venire ai laboratori, di emozioni e commozioni, di telefonate insperate quando tutto sembra perduto, “io voglio fare il teatro, c’è ancora un posto per me?”.
C’è posto per tutti in Arrevuoto, fino al giorno del debutto, alcuni lo sanno già, ma amano sentirselo ripetere.

SPEECH spicc
Il progetto SPEECH Spicc – Ecomuseo urbano diffuso, a cura dell’associazione chi rom e…chi no, vincitore del PON Città Metropolitane 2014-2020 I QUARTIERI DELL’INNOVAZIONE, nasce dalla volontà di consolidare e “mettere a sistema” le esperienze decennali che hanno reso il quartiere di Scampia un modello virtuoso di sviluppo sostenibile e culturale.
Si tratta di potenziare e adattare ai linguaggi contemporanei, l’intuizione e le pratiche che gruppi di cittadini, attivisti, associazioni portano avanti da tempo, spesso con grande fatica e frammentarietà, di riappropriazione e rigenerazione dello spazio pubblico come primo tassello per creare percorsi di comunità. La creazione di un ecomuseo urbano diffuso consente infatti di riunire, rafforzare e moltiplicare le pratiche interdisciplinari, di valorizzazione del patrimonio locale – ambientale, relazionale, culturale – attraverso mappature di comunità, percorsi culturali, artistici, teatrali, pedagogici, di turismo sostenibile, con un metodo collaborativo e cooperativo.
L’ambizione è che Speech Spicc Ecomuseo urbano diffuso sia uno spazio di comunità e cultura fatto dagli abitanti e dalle reti del quartiere, con una equipe progettuale e una rete partner costituita da qualificati professionisti nell’ambito dell’architettura, dell’educazione, dell’audiovisivo, dell’arte, del teatro, della cultura, articolato tra gli ampi spazi verdi pubblici e luoghi di riferimento territoriale, che
ospita una narrazione corale, laboratoriale, audiovisiva e multimediale delle storie delle comunità, degli eventi che lo animano, della quotidianità di lavoro e di impegno civico, esempi di resilienza e resistenza che nel tempo sono stati in grado di capovolgere quello che sembrava il destino segnato di un quartiere simbolo oggi parzialmente restituito ai suoi cittadini. Un “contenitore” che racconta Scampia dal punto di vista dei suoi abitanti con il supporto di diversi linguaggi espressivi e che abbia la capacità di essere un forte attrattore culturale per visitatori esterni, studenti, giovani, turisti.
L’ecomuseo propone una serie di attività chiave – Comunicazione con la creazione di un Communication Media Team, Workshop interattivi interdisciplinari peer-to-peer, Residenze artistiche, Esplorazioni attive – declinate in maniera diffusa in alcuni spazi chiave del quartiere – Teatro Area Nord, Villa comunale “Parco Ciro Esposito”, Auditorium, Metropolitana Stazione Felimetrò, Pangea, la Scugnizzeria, il Gridas, la Pinetina nel Monterosa – nei rioni – lotto p, campi rom – e altri luoghi strategici, che convergono all’interno di uno spazio espositore fisico e virtuale in particolare sulle terrazze di Chikù nel Polifunzionale di Scampia e nella villa Comunale.
L’obiettivo è creare uno spazio permanente di ampia fruizione culturale e multimediale dove in linguaggio culturale e artistico per raccontare come la memoria sia strumento di consapevolezza e cambiamento, con forte capacità di innovazione e attrazione, che possa essere anche di impulso alla risoluzione di atavici problemi (ricerca di soluzioni per un trasporto sostenibile interno al quartiere), di veri e propri drammi generazionali (formazione e creazione di lavoro per i principali destinatari del progetto, i ragazzi e i giovani del quartiere), di apertura e agibilità definitiva di spazi pubblici culturali che non riescono a trovare una gestione e una collocazione (l’Auditorium Fabrizio De Andrè).
Una sintetica panoramica dell’offerta progettuale:
Storytelling e mappe di comunità, la memoria come strumento di cambiamento; laboratori di educazione non formale, attività didattico-educative in natura, intorno ai temi dell’ambiente, dell’ecologia, della rigenerazione degli spazi pubblici, al servizio del mondo della scuola e della società, come strumenti di “apprendimento continuo” e di mediazione intergenerazionale; centro di comunicazione; formazione professionale; residenze artistiche internazionali; esplorazioni urbane, place making e concrete azioni trasformative; cartografie emotive e ricostruzione della memoria del quartiere; street art; campi estivi; eventi culturali estivi – spettacoli teatrali, cinema all’aperto; pratiche di convivialità e di aggregazione.